Mobilità, dubbi sulla transizione: “Non si può investire solo sull’elettrica”

Foto da homegreenhomeblog.com

Le speranze che molti sostenitori dell’ambiente hanno coltivato riguardo alla mobilità elettrica devono essere riviste. È quanto emerso da un interessante analisi effettuata dalla rivista QualEnergia, secondo la quale, l’idea di sostituire ogni veicolo a motore termico con uno elettrico è un’utopia poco realistica.

In primo luogo, secondo quanto emerso, il numero di automobili nel mondo è già eccessivo (circa 1,3 miliardi). Se ogni regione dovesse raggiungere il livello di motorizzazione dell’Europa (2 abitanti per veicolo; ancor più basso è quello dell’Italia), entro il 2050 ci troveremmo con 5 miliardi di automobili in circolazione a livello globale, una quantità insostenibile in termini di spazio, risorse ed energia. Inoltre, l’Unione Europea stessa ha stabilito un obiettivo di riduzione del 60% dei veicoli entro il 2050. Tuttavia, sembra che pochi stiano effettivamente considerando questa direzione.

Forse, secondo quanto evidenziato nell’analisi, sarebbe piuttosto necessario sostenere la presenza dei veicoli personali solamente nei paesi “sviluppati”, mentre il resto del mondo si dovrebbe continuare a fare a meno di essi. Questa disuguaglianza evidente entra però in conflitto con l’idea di giustizia ambientale e sociale, e inoltre, va in contrasto col fatto che la corsa verso la motorizzazione, spinta da paesi emergenti come Cina e India, sta prendendo il sopravvento. In aggiunta, l’auto elettrica da sola non risolve i problemi di congestione urbana, un problema che affligge le nostre città e che ha portato alla sottrazione degli spazi pubblici dai giochi dei bambini, dalla socialità e dagli incontri personali. Inoltre, l’inquinamento non viene completamente eliminato: l’80% delle particelle sottili emesse proviene dall’attrito delle frenate e delle ruote, non dai gas di scarico. Questo significa che anche se tutta l’energia utilizzata fosse prodotta da fonti rinnovabili, l’impatto negativo non verrebbe annullato.

La transizione dall’auto privata al trasporto pubblico in ambito urbano è inoltre ostacolata dal fatto che non è possibile limitare gradualmente l’uso dell’auto privata attraverso restrizioni di circolazione e parcheggio lungo le strade. Questo è particolarmente vero se il trasporto pubblico non offre delle alternative convincenti, soprattutto quando le strade restano congestionate dagli automobili, impedendo ai mezzi pubblici di muoversi agevolmente. Nei sobborghi e nelle fasce orarie meno congestionate, i mezzi pubblici spesso non riescono a raccogliere un numero adeguato di passeggeri a causa di orari e percorsi scomodi. Questa situazione rende difficile garantire un livello di servizio minimo. La transizione, secondo l’analisi,  può dunque avvenire solo attraverso l’implementazione graduale ma costante di soluzioni di mobilità flessibile. Queste includono il carpooling aziendale e comunitario, il carsharing, la logistica urbana per la distribuzione delle merci e soprattutto il trasporto pubblico condiviso e su richiesta, utilizzando mezzi elettrici che permettano un servizio porta a porta, un’opzione impraticabile con l’auto privata. È necessario unire questi servizi anziché disperderli tra diverse aziende private in competizione, poiché ciò riduce le risorse a disposizione di ciascun utente.

Il concetto chiave di questa transizione, si legge nell’analisi, è la “Città dei 15 minuti”, che implica una decentralizzazione delle funzioni urbane in modo tale che tutti i servizi essenziali, sia pubblici che privati, siano raggiungibili a piedi entro un periodo di tempo accettabile. Si tratta di un obiettivo ambizioso che però prevede un piano e, ad oggi, risulta, molto difficile, in quanto necessita di una strategia che coinvolga la cittadinanza nel lungo termine.

Foto repertorio

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